Il problema della morte

Pubblicato da Centro Pathos il

La morte è una questione di accettazione dell’ineluttabilità delle cose, cose sulle quali  non abbiamo nessun potere. E’ una cura narcisistica, poiché si tratta di un compromesso, padre della capacità di saper stare nello spazio in cui non tutte le cose sono conosciute o conoscibili, e per questo incontrollabili. Puoi fare la tua parte, puoi condurre una vita sana, ma il processo è continuo,  ci sei dentro in ogni momento senza che tu te ne accorga per la maggior parte del tempo, fino a quando non arrivano, periodicamente, degli eventi che ti obbligano a prendere una pausa dall’abnegazione della fine delle cose. Eventi di grande portata emotiva che ti mettono di fronte al fatto che molte cose di te stanno cambiando, si muovono più lentamente quasi come seguissero l’andamento del tuo deambulare, stanno morendo. E via via che la tua vita va avanti, tu sperimenti giorno dopo giorno cosa significa morire. Verrà il momento in cui mi laureerò per l’ultima volta, arriverà il giorno in cui giungerò a leggere l’ultima pagina del libro che sto leggendo, come viene continuamente il giorno in cui, guardandomi indietro penso a tutte le cose e le persone che non ci sono più con sentimento luttuoso. A tutti sarà capitato di andare ad una gita di classe con i compagni di scuola. Spesso la sera prima andavo a dormire presto per far venire prima il giorno. Non ero solita preparare lo zaino la sera prima di andare a scuola, ma il giorno che precedeva la gita, non vedevo l’ora di organizzare tutto l’occorrente. E così in quello zaino ci finivano tutti gli oggetti più inutili e insignificanti, la maggior parte non l’avrei nemmeno tirata fuori dalla borsa il giorno dopo e questo è il sintomo più palese che la cosa principale a finire lì dentro era la mia eccitazione di bambina. Eppure, anche in quel caso, la gita terminava il più delle volte in un viaggio in pullman, al tramonto…per non risparmiarti l’importante lezione, anche a quella tenera età, che tutto finisce, anche la cosa più bella. E, seppur, così piccoli, così inesperti, potevamo comprendere per la prima volta in vita nostra sentimenti come malinconia e perdita. Poi cresci, e nella crescita muori, qualcosa che ieri faceva parte di te adesso esiste sotto altra forma, ha altri significati, anche fosse solo un ricordo. Si badi bene che questo non vuol dire che tutto è morte, bensì che tutto contiene la morte. Pensiamo al silenzio che segue la festa, quando i tuoi amici svuotano casa tua dopo averci passato tutta la notte a ridere, scherzare, ballare e a non limitarsi in tutte le gozzoviglie giovanili che possono venirvi in mente… cosa succede quando la festa finisce? Succede che il silenzio è ancora più sordo, che la stanza sembra svuotarsi anche di mobili e suppellettili e con lei anche voi. Ci accorgiamo allora che le cose passano, che non è più il tempo di prima…il punto è questo, la morte è consustanziale alla vita e noi tendiamo a non accettare questo fatto. Non è un incidente, non è una cosa che capita, non è un evento inatteso… e la cosa peggiore che possiamo fare a noi stessi è chiederci cosa abbiamo fatto per meritarlo. La risposta in questo caso sarebbe semplice e risuonerebbe disarmante come fosse detta con la voce flebile di un bimbo …“abbiamo vissuto”.
È così… per “meritare” la morte dobbiamo essere nati, dobbiamo essere vivi. Ci pensate a quanto diverrebbero insignificanti tutti gli eventi della nostra vita se questi non fossero come in realtà sono, “a tempo”?  Negando la morte, ci neghiamo, come naturale conseguenza, la possibilità di gioire per la vita, insieme con tutte le sue storie e le sue pagine perché siamo culturalmente legati all’eternità, o forse meglio dire alla “staticità in divenire”.
L’elaborazione del lutto, è l’accettazione della finitezza dell’eternità, la giusta distanza che prendiamo dall’altro che muore, che non è nostro, ma prima di tutto del mondo…è necessario prendere atto di questo, conservando il dolore senza cancellarlo, e proprio per questo onorarlo. Lo si onora rendendosi consapevoli che esso è l’unica panacea per se stesso, capace di curare la stessa cosa che lo ammala. Leggere queste parole, per alcuni, sarà assolutamente insensato come se le lettere fossero disposte a casaccio sul foglio, perché morire fa parte di voi, ma ancora soltanto come voce silenziosa. Per tutti gli altri…Lei vi ha parlato o vi parla tutti i giorni, non con la sadica necessità di cibarsi del vostro dolore, ma chiedendovi di non avere paura di lei perché, come si legge in una frase di Jim Morrison, “fa meno male della vita”.

Centro Pathos ringrazia la collaboratrice Rita Aiello per la stesura dell’articolo.


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